Biografia

Maurizio Sacripanti nasce a Roma l'8 agosto 1916 da Giuseppe e Olga Bartolani; il padre, ingegnere, muore quando Maurizio è ancora molto giovane. "Nasco da una vecchia famiglia romana; in una vecchia città", scrive lo stesso Sacripanti in Il senso del mio lavoro, testo pubblicato postumo, nel 1997, nel volume Maurizio Sacripanti maestro di architettura, catalogo della mostra tenutasi all'Accademia Nazionale di San Luca dal 22 aprile al 20 maggio dello stesso anno. "Persi da bambino mio padre, ingegnere, e ben presto vissi solo. Il Convitto Nazionale: praticamente espulso a tredici anni per indisciplina, smisi a sedici... scoprii le osterie... disegnavo, imparavo l'arte del calco, conobbi il modano e le sagome antiche... una vecchia arte in una vecchia città". Vive per le strade di Roma, di notte: così impara a conoscere la città, le sue forme, la sua gente: "Non fu tempo perduto e mentre Roma mi svelava il gusto dell'architettura, compagni anarchici mi conducevano all'antifascismo".  Si iscrive allora al liceo artistico ("... la decisione di farmi architetto mi colse al momento giusto per lo scatto: entrai al liceo artistico e rapidamente conseguii la maturità") e quindi alla facoltà di Architettura. "Nel '36 ero in Facoltà... scarsa frequenza, buoni voti in materie compositive; ma cercavo altrove, frequentavo la scuola libera del nudo, lavoravo negli studi ove era possibile imparare, e anche parlare senza essere denunciati". E tra gli studi dove secondo Sacripanti era possibile imparare ci sono quelli di Marcello Piacentini, di Pierluigi Nervi, di Mario Ridolfi e di Mario De Renzi. Con De Renzi non si tratterà di una semplice collaborazione ma di un rapporto professionale già più "maturo" che per la palazzina Furmanik lo porterà, ancora giovanissimo, a contribuire anche alle scelte progettuali oltre che alla redazione dei disegni esecutivi. Si laurea a Roma l'8 gennaio 1943. "Lavoravo per una nuova architettura facendo tutt'altro. Otto settembre, distacco dalla guerra ingiusta, la lotta clandestina, la Liberazione infine, il lavoro politico, la battaglia per la Costituente. L'architettura era ancora maceria che copriva i morti e mine inesplose facevano altri morti. Dipinsi souvenir, feci perizie e rilievi di fabbricati distrutti, fondai con amici un'impresa per la ricostruzione, vidi i primi soldi - ma smisi!". Nel 1946, all'indomani della fine della guerra, ottiene il primo riconoscimento ufficiale, la vittoria ex aequo al concorso nazionale per la sistemazione di piazza d'Armi (poi piazza Garibaldi) a Perugia. Nell'anno seguente, in collaborazione con Ciro Cicconcelli, redige progetti per l'Albergo della gioventù e per le Case unifamiliari a schiera realizzate al quartiere sperimentale QT8 di Milano: "Fu Bottoni, nel '47, a chiamarmi alla prima esperienza di architetto per la VIII Triennale: sono le prime casette prefabbricate del QT8 a Milano... l'Architettura finalmente si impadronì di me e mi spinse in un'esperienza densa di valori sociali. La riflessione sulla vita coincide con la riflessione sul linguaggio...". La collaborazione con Cicconcelli continua poi con i progetti per il Centro direzionale di Milano (1948; progetto premiato) e per il Palazzo di giustizia di Beirut (1949; progetto non giudicato). Nel 1945 De Renzi lo chiama come assistente straordinario al suo corso di Elementi di architettura, dando così avvio ad una carriera universitaria che porterà Sacripanti, conseguita la libera docenza nel 1961, a ricoprire alla facoltà di Architettura di Roma prima la cattedra di Elementi di architettura e rilievo dei monumenti (che insegnerà dal 1963 al 1969), quindi quella di Composizione architettonica (in Composizione nel 1973 è nominato professore straordinario e ordinario nel 1976) e infine quella di Scenografia (incarico che svolgerà nell'a.a. 1984-85). Terrà poi corsi e conferenze in diversi atenei italiani e stranieri: visiting professor presso la facoltà di Architettura di Houston, Texas (dove riceve il Distinguished Contribution to Architecture), sarà invitato a presentare il suo lavoro a Tokyo, Mosca, Costantinopoli. "Nel '49 - prosegue Sacripanti nel suo scritto - prendo studio in via degli Orti d'Alibert, tra monache di clausura e il carcere di Regina Coeli; in una vecchia città. Lavoro, quasi nulla. Mi lego a Libera e insieme progettiamo le tipologie per Ina-Casa. Vinco un concorso, faccio parte delle prime commissioni d'esame progetti dello stesso Ente. Vita professionale? Ancora ben poca ma fu allora che conobbi Mafai, fu per me un fratello, e Ventura che ricordo come un maestro". I caffè e le osterie "a credito" dove passare la sera, le "vie notturne, segnate dalle gronde e dagli spigoli, mediate dal viola" dove camminare sino a notte fonda, divengono in quegli anni il teatro di appassionate conversazioni con Mario Mafai, certamente, e con alcuni giovani artisti, Piero Dorazio, Achille Perilli, Giulio Turcato, Piero Consagra del gruppo Forma 1, e poi con tanti altri, letterati, registi, attori, scienziati - ma anche con il barbiere di via del Babbuino, Benedetto Avincola, "la cui bottega era divenuta luogo di incontri e di discussioni accorate", come racconta nel catalogo della mostra del 1997 Luca Canali, latinista, scrittore e poeta, anch'egli compagno di animate passeggiate serali.  Sul finire del 1949 Sacripanti parte per Parigi, "un'altra tappa obbligata - dirà - anche se ancora non lo sapevo". "A Parigi vissi l'età delle sorprese, nella fecondità del disordine, dell'avventura. La Parigi neoclassica e la Parigi cubista mi ricaricarono svelandomi lo spazio generato dagli assi e lo spazio che distrugge quegli assi generandosi da vettori. Ecco il punto: potevo ormai eliminare i principi "acquisiti", perché quanto vivo era in loro non l'avrei più dimenticato, quello che era morto serviva per reazione a scaraventarmi nel presente e dunque nella condizione del futuro". Al rientro a Roma partecipa al concorso per il nuovo Auditorium al Borghetto Flaminio (1950), poi a quello per l'Ospedale San Giovanni di Empoli (1954; progetto vincitore). Del 1956 è il Quartiere residenziale a Verona in zona Santa Lucia, completato nel 1958. Nel 1958 l'Accademia Clementina di Bologna lo nomina accademico corrispondente. Ricordando quella stagione Sacripanti dirà: "Provavo la sensazione terribile di uno scarto tra l'idea chiara, quella dell'arte moderna, e la sua traduzione in elaborato e in funzione.  Avvertivo  un profondo malessere nel non riuscire a mettere in pratica le mie idee. Il quartiere che costruisco a Verona mi svela tutto ciò che non si deve fare, mi dice che il problema non è quello di impaginare in modo diverso immagini consunte, che non si può trarre nulla da poetiche spente, che la funzione tradizionale va spezzata, che occorre un'idea capace di ricaricare i rottami di significati attuali e anche le immagini verranno, e certamente saranno capaci di comunicarci segnali nuovi. Lo sapevo, non avevo dubbi, ma l'avevo dovuto scontare". Nel 1960 trasferisce il suo studio in piazza del Popolo 18, in un sottotetto all'ultimo piano del palazzo progettato da Valadier dove si trova il Caffè Canova: "Erano tempi barbarici, ingenui - ricorda ancora Canali nel già citato saggio - alle 19.30-20 ci si trovava sempre in buona compagnia, si discuteva d'arte astratta e informale, realismo socialista, i film di Fellini, Antonioni, Rosi, spesso con loro presenti. Maurizio, di solito, si appartava con qualche amico, non amava stare al 'centro', amava la 'periferia' intellettuale, là dove più che sull'attualità politica e culturale si divagava sui 'massimi sistemi', o si camminava in silenzio, meditando". Nel 1961 partecipa al concorso internazionale per il Grattacielo Peugeot a Buenos Aires (nel gruppo anche il pittore Mafai e il fisico Romeo Nigro) con una struttura estremamente articolata, fatta di blocchi sovrapposti, sospesi, aggettanti su logge e giardini verticali; una struttura che, attraverso il movimento di liste frangisole, può divenire un enorme cartello pubblicitario. Il progetto riceverà soltanto la menzione d'onore: "Bisognava chiedere non 'il più alto', ma il più originale e creativo grattacielo del mondo. Forse, in questo caso, la giuria avrebbe assegnato il premio a Sacripanti", scriverà Bruno Zevi sulle pagine de "l'Espresso" il 19 agosto 1962 commentando quel "verdetto pavido". Degli anni seguenti sono i progetti per il Padiglione italiano alla Fiera internazionale di Tolosa per conto del Ministero del Commercio Estero (1962), per il quartiere Incis per i dipendenti del Ministero degli Affari Esteri a Roma (1963), il progetto per il quartiere "Cynthia" di case per gli operai delle industrie siderurgiche a Bagnoli (1964). Nel 1965 partecipa al concorso di idee per il nuovo Teatro Lirico di Cagliari che nella interpretazione di Sacripanti e del suo gruppo (a questo progetto collabora anche Achille Perilli) diviene un "teatro nuovo", totale; una forma in divenire, una macchina capace di modificare lo spazio, di trasformarsi per restare attiva ogni giorno dell'anno, accogliendo anche altre attività. "Lo scopo di un concorso di idee - dirà Sacripanti - è quello di trovare idee. Dopo la Philarmonie di Berlino non c'è più niente da proporre in materia di teatri tradizionali. Bisogna andare oltre, inventando una macchina che, pur conglobando il passato, renda il futuro possibile, anzi presente". Una provocazione poetica che ancora una volta non venne del tutto compresa dalla giuria (il progetto ottenne cinque voti favorevoli su sei). Seguono poi il progetto per il Centro di cura e rieducazione dei silicotici a Domodossola (1966) e la partecipazione al concorso nazionale per i nuovi Uffici della Camera dei Deputati (1966-67), una competizione questa dagli esiti controversi (non venne decretato un vincitore, ma 18 progetti furono definiti degni di menzione) che in qualche modo simbolicamente chiude la vicenda storica e architettonica italiana iniziata nel secondo dopoguerra. Il progetto di Sacripanti (motto "Omaggio a Mafai", in ricordo dell'amico scomparso nel 1965) è un organismo complesso generato dalla aggregazione di nuclei geometrici omotetici, come è dei frattali, qui sospesi su ponti per dilatare lo spazio al piano terreno, per "conquistare il vuoto" della piazza. Nel 1968 ottiene il primo premio al concorso nazionale per il progetto per un nuovo Museo a Padova, collocato tra la cappella degli Scrovegni e la chiesa degli Eremitani, tra Giotto e Mantegna. Sul rapporto con le preesistenze, Sacripanti scrive nella relazione: "Proporre un tipo di simbiosi tra passato e futuro: ecco cosa significa progettare, oggi e qui. Il passato: la nostra cultura, la tessitura di ogni riferimento vivo; il futuro: la nostra molteplicità, la vera insostituibile novità dell'epoca moderna". Tra passato e futuro Sacripanti getta dei lunghi ponti, sorretti nel vuoto l'uno dall'altro a generare visuali prospettiche controllate; e di questa struttura articolata e multipla, aerea e trasparente, le opere d'arte sospese nello spazio divengono parte integrante. Purtroppo, però, anche questa sarà una occasione perduta, un'altra architettura che rimarrà solo sulla carta. Stessa sorte anche per il contemporaneo progetto del padiglione italiano all'Esposizione universale di Osaka 1970 per cui, rispondendo al  tema di quella edizione, "Armonia e progresso dell'umanità", Sacripanti (qui in gruppo anche con Achille Perilli e Renato Pedio) propone un edificio pulsante, in movimento (perché "Uno spazio che si muove può significare facilmente un Paese che si muove"), una struttura generata da una doppia serie di sette lame circolari, a sezione e diametro variabile, incernierate nel baricentro eccentrico e variamente disposte intorno ai due nuclei cilindrici del sistema di scale (la commissione, di cui facevano parte anche Giulio Carlo Argan, Franco Albini e Luigi Moretti, del progetto Sacripanti, pur bocciandolo, apprezzerà gli "spiccati caratteri di originalità inventiva"). Negli anni seguenti il progetto per scuole prefabbricate a Molfetta (1969; realizzato), il concorso per l'Ospedale psichiatrico di Bergamo (1970) e quello per la sede dell'Università Libera di Bruxelles (1971). Nel 1971 pubblica su "L'Architettura. Cronache e Storia" l'articolo Città di frontiera, un "racconto" che inizia con brevi note biografiche per poi sviluppare quelle che sono "le mie invarianti del linguaggio architettonico moderno", sette punti attraverso i quali definire un programma che, è espressamente detto, non ha le pretese di essere sufficiente, infallibile, risolutivo, ammissione questa indispensabile per un'architettura che non sia solo forma, apparenza, ma neanche esclusivamente pura necessità. "L'unica progettazione possibile - scrive Sacripanti - si fonda sull'irriducibile testimonianza di non possedere schemi, di non avere prefigurazioni; dobbiamo quindi (anche perché tecnicamente lo possiamo) cercare la città come "capanna", come fiaba, traendone l'immagine del e dal nostro inconscio; la poetica diventa la ragione di sopravvivenza del linguaggio". Città di frontiera due anni più tardi diverrà un libro nel quale Sacripanti affianca alle parole i suoi progetti, "mattoni" di una personale immagine di città.
Dalla metà degli anni Sessanta il lavoro di Sacripanti viene riconosciuto anche attraverso mostre nazionali e internazionali: nel 1965 espone alla Prima Triennale itinerante di architettura italiana contemporanea; nel 1967 al MoMA di New York sono in mostra alcuni disegni per il Teatro di Cagliari; nel 1969 tiene alla Marlborough galleria d'arte di Roma una Personale di architettura; l'anno seguente i suoi disegni sono a Mosca, in mostra alla Casa dell'Amicizia e nel 1972 a Genova, all'esposizione Immagine per la città. Nel 1967 diviene inoltre membro dell'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze (inizialmente con il titolo di "accademico aggregato" per divenire poi, dal 1992 "accademico corrispondente") e per la Cluva di Venezia viene pubblicata la prima monografia dedicata al suo lavoro, Sacripanti architettura, curata da Marta Garimberti e Giuseppe Susani.
Nel 1972 ottiene l'incarico, nell'ambito del programma Ises per la ricostruzione delle zone terremotate nella valle del Belice, della progettazione della chiesa di Partanna (Trapani), un'altra architettura che non verrà realizzata: una successione di spazi voltati sui diversi piani che trova una matrice negli studi del Mausoleo di Santa Costanza e nelle riflessioni sullo spazio sacro pubblicate nel 1966 da Sacripanti sulle pagine di "L'Architettura. Cronache e Storia".  Del 1974 è invece il progetto per il Museo della Pace, situato proprio vicino all'abbazia benedettina di Montecassino e concepito per ospitare il Monumento alla Pace, scultura completata da Umberto Mastroianni nel 1972: Sacripanti pensa ad un organismo aggrappato alle pendici del monte dall'interno del quale sarebbe "esplosa" la scultura di Mastroianni, un segnale potente, per non dimenticare la tragedia della guerra. Tuttavia, forse proprio la stretta vicinanza all'abbazia bloccò il corso anche di questo progetto (solo molti anni dopo la scultura sarebbe stata collocata nei pressi della rocca Janula, sul versante sud del monte). Nel 1976 un tragico evento, la morte del figlio Paolo - "giovanissimo, affascinante pittore di mari capovolti, dolci cerbiatti e licorni in carole stellari, cieli rovesci, schiume di galassie in bilico su una falange", come lo descrisse Renato Pedio - fa cambiare di verso il corso della vita di Sacripanti che da questo momento nei progetti assumerà il nome del figlio, facendolo precedere al suo. Di questi anni è anche l'incontro con Luigi Pellegrin, figura che diverrà determinante anche per lo svolgersi della carriera professionale e universitaria di Sacripanti. Nel 1977 vince il concorso per il nuovo Teatro comunale di Forlì che sarebbe dovuto sorgere in un'area marginale del tessuto storico cittadino, inserendosi nelle strutture del convento e della chiesa di San Domenico. Come troppo spesso accade, a quella vincita non seguì una immediata concretizzazione e ancora sul finire degli anni Ottanta lo studio sarebbe stato impegnato nella redazione dei disegni esecutivi.  Il teatro infine non verrà mai attuato, ma nel 1980 sarà completata la grande piazza-parcheggio "Guido da Montefeltro" situata proprio accanto all'area del vecchio convento.  Nel 1977 a Santarcangelo di Romagna, in quella che venne al tempo definita come  "la piccola Atene del nord", su intercessione dell'amico poeta Tonino Guerra, Sacripanti realizza l'edificio della scuola media, "un impianto aspro e tenero insieme... forma finita e non-finita insieme", secondo le parole di Pedio. E nel 1979 a Maccagno, borgo della provincia di Varese affacciato sul Lago Maggiore, avvia la progettazione del Museo civico Parisi-Valle (completato nel 1998), ancora una volta un edificio come un ponte sospeso tra due sponde, una macchina per esporre che dialoga attraverso squarci obliqui con il sottostante torrente Giona e con il cielo, con il lago e con i monti retrostanti. Nel 1979 Sacripanti è nominato membro dell'Accademia Nazionale di San Luca. Nel 1981, chiamato da Giorgio Tecce, preside al tempo della Facoltà di Scienze dell'ateneo romano, Sacripanti allestisce la mostra "Cinque miliardi di Anni. Ipotesi per un Museo della Scienza" tenutasi al Palazzo delle Esposizioni. In quella circostanza conosce Remo Ruffini, astrofisico, presidente dell'Icra, International Center of Relativistic Astrophysics, istituto per il quale nel 1983 progetta il centro ricerche "Matteo Ricci" in Cina. Del 1983 è anche l'incarico del Comune di Roma (Carlo Aymonino è al tempo assessore al centro storico) per la progettazione del Museo della Scienza a via Giulia, un'altra visione architettonica di grande impatto che alimentò forti discussioni e infine non venne realizzata perché giudicata troppo estranea al contesto. Gli ultimi anni allo studio di piazza del Popolo, dove Sacripanti lavorerà sino al 1995 per poi trasferirsi nella sua abitazione di viale Maresciallo Pildsuski, lo vedono impegnato insieme ai suoi collaboratori nel completamento di progettazioni esecutive per cantieri già avviati (il museo di Maccagno) e per cantieri che non si avvieranno mai (il Teatro di Forlì); o, ancora, nella partecipazione ad alcuni concorsi, tra cui quello per la chiesa di Tor Tre Teste. La morte lo coglie il 25 settembre 1996 mentre, in polemica con quanto attuato dall'amministrazione capitolina in occasione del concorso ad inviti del 1993, si appresta a completare il suo progetto per il nuovo Auditorium di Roma.

[Laura Bertolaccini]